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La distorsione della caviglia

LA DISTORSIONE DELLA CAVIGLIA (download – 472 KB)

L’argomento trattato in questa rubrica risulta di grande interesse per due motivi:

  • la comunità di Lumezzane nasce su un territorio collinare e montuoso con particolari caratteristiche orografiche, la maggior parte degli abitanti per hobby o per sport spesso affronta sentieri di montagna;
  • l’associazione Volontari Croce Bianca Lumezzane è da anni impegnata costantemente in servizi di assistenza agli eventi sportivi quali pallacanestro, basket e calcio.

In Italia si stimano circa 50.000 traumi distorsivi alla caviglia all’anno, questo significa che è uno dei traumi più comuni nelle attività sportive e ricreative.

La distorsione alla caviglia è il più frequente trauma muscolo-scheletrico dell’arto inferiore.
Gli sport dove questo trauma è più frequente, in ordine crescente, sono: pallavolo (56%), basket (55%), calcio (51%) e corsa di resistenza (40%).

Nella distorsione alla caviglia quasi sempre rimane un dolore residuo abbastanza significativo che comporta una limitazione funzionale. Anche dopo che il trauma è stato curato si ha una percentuale variabile di pazienti, che va dal 10% al 30%, che lamentano una sintomatologia cronica caratterizzata da sinoviti, tendinopatie, rigidità, aumento di volume, dolore ed insufficienza muscolare; associati o meno ad instabilità del collo del piede con difficoltà a deambulare su terreni irregolari o episodi distorsivi recidivanti, a prescindere dal trattamento dell’episodio acuto. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non avviene solo a carico del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e muscolo-tendineo, intorno al complesso della caviglia.

Il tempo necessario per il recupero funzionale completo, qualunque sia il trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane; il tempo necessario prima di tornare al lavoro varia dalle 4 alle 7 settimane; e prima che il paziente possa ritornare alla pratica sportiva occorrono 10 settimane. I tempi di recupero, di solito, negli sportivi professionisti sono più corti perché il tempo riservato alla riabilitazione è molto maggiore rispetto ad esempio ad uno sportivo amatoriale.

I traumi distorsivi possono essere acuti (in seguito ad urti, contrasti, scontri o improvvisi cambi di direzione) o cronici (dopo carichi notevoli e prolungati).
L’evento traumatico può portare, nella caviglia di un atleta, ad una patologia articolare, suddivisa in due quadri:

  • quello della lassità, con lesioni capsulari, distensioni e lacerazioni del comparto legamentoso laterale e mediale della tibiotarsica e della sottoastragalica, che determinano una escursione articolare oltre i limiti fisiologici;
  • quello dell’ instabilità, che l’atleta avverte come un segno di cedimento articolare durante il gesto sportivo ed anatomopatologicamente obiettivabile in una rottura più o meno totale dei legamenti.

Dati riguardanti i traumi:

  • 5.000 traumi distorsivi ogni giorno in Italia;
  • 20% traumi sportivi;
  • disfunzione cronica nel 30% dei casi e frequenti recidive;
  • costi sociali elevati.

“Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti, si comprende quindi l’importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo” .

La distorsione è la perdita momentanea ed incompleta dei rapporti articolari fra due capi ossei.

Classificazione delle distorsioni:

  • grado 0: tilt astragalico inferiore a 8°, non rotture legamentose;
  • grado 1: tilt astragalico (10°-20°), rottura legamento peroneo- astragalico anteriore;
  • grado 2: tilt astragalico (20°-30°), rottura legamento peroneo-astragalico anteriore e peroneo calcaneare;
  • grado 3: tilt astragalico superiore a 30°, rottura di tre legamenti.

Sintomatologia della distorsione:

  • dolore vivo, localizzato a livello della zona anteriore del malleolo peroneale, che insorge durante la palpazione;
  • tumefazione modesta o cospicua a livello periarticolare ed articolare, segno della rottura della piccola arteriola passante al di sopra del legamento peroneo-astragalico anteriore (segno di Robert-Jaspert);
  • limitazione funzionale causata dal dolore che il paziente avverte durante i movimenti dell’articolazione;
  • instabilità dell’ articolazione tibio-tarsica.

Il trattamento conservativo
E’ diviso in 3 fasi: acuta, sub acuta e di rieducazione funzionale.

Fase acuta
Interessa in modo diretto i volontari del soccorso sanitario.
La distorsione altro non è che una esasperazione di un movimento non permesso.

Come sempre nei casi di trauma è fondamentale capire la dinamica della lesione (meccanica e forza) e riportare sulla scheda paziente se il fatto si è già verificato altre volte o se l’articolazione è già stata colpita in passato da fratture.
Il protocollo più accreditato per le lesioni acute è il P.R.I.C.E. Protection Rest Ice Compression Elevation.
Seguire il principio PRICE significa protezione, riposo, ghiaccio, compressione ed elevazione.

Quindi i soccorritori devono rimuovere al paziente le scarpe e le calze nel modo meno traumatico facendo solo una blanda trazione ed evitando movimenti di flesso estensione, rimuovere eventuali monili, braccialetti per caviglia o anelli.

A seguire, immobilizzare con stecco-bende tradizionali o a depressione l’articolazione della caviglia.

A contatto con la pelle, ma sempre con barriera (appoggiare garze sulla cute) applicare ghiaccio sintetico o spray.

Fondamentale per ridurre il grado di edema è non far deambulare fino al mezzo di soccorso il paziente (eventualmente sorreggerlo per le ascelle) evitando il carico sull’articolazione colpita e durante il trasporto in ambulanza elevare l’arto posizionando ad esempio lo zaino di soccorso sotto il cavo popliteo del ginocchio.

All’arrivo in pronto soccorso far accomodare il paziente su una carrozzina per infermi e regolare l’altezza della gamba con le bascule laterali per alzare il poggiapiedi.

Ricapitolando in fase acuta gli obiettivi sono:

  • l’immobilizzazione;
  • la diminuzione degli “irritanti chimici” che causano dolore e favoriscono la “stasi tissutale” (ovvero l’edema);
  • la prevenzione di ulteriori sollecitazioni meccaniche della struttura lesa.

Qualora si riporti una distorsione alla caviglia in luoghi avversi, ad esempio in alta montagna o comunque lontano da possibili soccorsi, è bene non togliersi la scarpa per esaminare la lesione. Il conseguente dolore associato a gonfiore potrebbe infatti ostacolare il reinserimento del piede nella scarpa.
Spesso gli amanti della montagna hanno con sè nelle escursioni, zaini con struttura rinforzata da anima metallica che può essere rimossa ed utilizzata modellandola creando così una stecco-benda per immobilizzare l’articolazione.

Fase subacuta
In fase sub-acuta lo scopo del trattamento è quello di sottoporre il tessuto leso ad una serie di sollecitazioni meccaniche, utili per promuovere l’orientamento fisiologico delle fibre collagene.
Gli obbiettivi in questa fase sono:

  • l’eliminazione del dolore;
  • il recupero della particolarità;
  • l’eliminazione dello spasmo muscolare;
  • l’eliminazione dell’edema;
  • il recupero della forza muscolare.

Per raggiungere questi obbiettivi si utilizzano massaggi, terapie fisiche, tecniche di mobilizzazione e la cinesiterapia.
Fase di rieducazione funzionale
Nella fase di rieducazione funzionale si mira al:

  • recupero della propriocettività;
  • recupero della forza;
  • prevenzione delle recidive.

Il bendaggio funzionale:

  • previene l’insorgere di ricadute o recidive quando si riprende l’attività motoria;
  • evita i danni di una prolungata immobilizzazione o inattività funzionale;
  • riduce i tempi di recupero.

Rieducazione propriocettiva
Con il termine di rieducazione propriocettiva, come appare chiaro dal termine stesso, si intendono tutte le metodiche e gli esercizi mirati a stimolare e rieducare la sensibilità propriocettiva, quella, cioè, che ci permette di conoscere anche ad occhi chiusi la posizione del nostro corpo e dei suoi segmenti nello spazio.

Particolari recettori raccolgono i segnali di origine periferica, trasmettendoli al sistema nervoso centrale che elabora le informazioni ricevute e le integra con altre afferenze (visive, labirintiche), per organizzare adeguate risposte motorie.
La funzione dei propriocettori è quindi fondamentale per regolare il tono muscolare, la postura e la corretta esecuzione dei movimenti.

Gli esercizi propriocettivi
Gli esercizi propriocettivi sono quindi quelle attività che vanno a stimolare il sistema propriocettivo, con l’obbiettivo di allenarlo a fornire delle risposte rapide ed adeguate in situazioni destabilizzanti e potenzialmente pericolose, coscientizzando l’individuo nei confronti del proprio corpo. In particolare la rieducazione propriocettiva nel caso della caviglia deve proporsi come fine quello di far acquistare all’articolazione tibio-tarsica una maggiore coordinazione nelle contrazioni muscolari e delle leve ossee, in relazione al movimento .
Inizialmente la rieducazione propriocettiva si effettua in scarico o in maniera passiva, per abituare il paziente a percepire le diverse caratteristiche del movimento indotto e coscientizzarlo riguardo alle sue possibilità di reazione motoria.
Successivamente, prima di eseguire gli esercizi propiocettivi in stazione eretta andremo a fare recuperare, se non ancora presente, un’equa distribuzione del carico. Successivamente si propongono esercizi su superfici instabili, come i piani circolari, le tavolette quadrate e le semisfere. Il paziente deve imparare a mantenere l’equilibrio con semplici movimenti delle caviglie, inizialmente ad occhi aperti e con l’aiuto del terapista, successivamente senza aiuto e senza il controllo visivo. Il lavoro prosegue poi in monopodalica sia sull’arto leso sia su quello sano. In questa fase il terapista può aiutare il paziente, o destabilizzarlo con delle spinte quando ha raggiunto un buon controllo dell’equilibrio. Quando il paziente ha recuperato una buona deambulazione si procede con l’eseguire un percorso propriocettivo composto da cuscini che hanno una diversa consistenza e deformabilità, in modo da adattare il passo e stimolare i recettori propriocettivi durante la camminata su un terreno non omogeneo.

 

Rinforzo muscolare
Nella riattivazione motoria, dopo un qualsiasi trauma, distorsivo o meno, ricopre un ruolo fondamentale il rinforzo muscolare, in quanto un buon trofismo dei muscoli riduce il rischio di lesioni recidivanti e permette al paziente di riprendere a pieno regime le attività che svolgeva prima dell’incidente. Nella rieducazione della caviglia dopo una distorsione dobbiamo prestare particolare attenzione ai movimenti che andremo a far compiere al paziente, in modo tale da non procedere subito con esercizi che possono recare danni al comparto che ha subito il trauma.
Per questo motivo è meglio cominciare con esercizi molto leggeri, divisi in più serie con poche ripetizioni
Lo strumento più utilizzato per il rinforzo muscolare è l’ elastico, in quanto permette di dosare il carico ed è molto versatile per questo tipo di esercizi. Gli stessi esercizi possono essere effettuati con l’ausilio di una palla di spugna . Quando il paziente è in grado di camminare senza evidenziare zoppia e senza accusare dolore nella zona interessata si può procedere con l’esecuzione di esercizi a carico completo. Possiamo dividere questi esercizi in due categorie.
La prima è per il potenziamento dei muscoli della gamba, più precisamente per quelli della loggia posteriore. La seconda invece è mirata al potenziamento dei muscoli della coscia.

 

Il recupero del gesto
La fase successiva è quella del recupero del gesto atletico, che è mirata non solo al recupero della meccanica del passo normale, ma al recupero ottimale per tornare a svolgere attività fisiche come prima dell’infortunio.

 

La riabilitazione in acqua
La riabilitazione in acqua prevede l’esecuzione di esercizi, molte volte gli stessi che si eseguono in palestra, con il corpo parzialmente immerso nell’acqua.
Questo tipo di riabilitazione sfrutta alcune leggi fisiche come:

  • principio di Archimede;
  • reazione viscosa.

Anche la riabilitazione in acqua si divide in tre parti:

  • rieducazione propiocettiva;
  • rinforzo muscolare;
  • recupero del gesto.

La rieducazione propiocettiva:
si invita il paziente a camminare lungo la vasca mantenendo sotto il piede una tavoletta galleggiante in modo da creare una situazione di instabilità continua durante le varie fasi del passo.

Il rinforzo muscolare:
esercizi con lo step, flesso-estensione delle gambe con sostegno di un galleggiante, nuoto a stile libero con le pinne in modo tale da aumentare la resistenza dell’acqua, camminate con attrezzi che aumentano la resistenza dell’acqua nello specifico del gesto e movimenti di adduzione, abduzione e flesso-estensione della gamba da stazione eretta.

Il recupero del gesto:
andremo ad eseguire vari tipi di camminata, in avanti, all’indietro, laterale, corsa nelle tre direzioni, balzi, saltelli e tutte le altre situazioni a cui si può andare incontro durante il ritorno all’attività da parte del paziente. Tutti questi esercizi potranno subire variazioni come, ad esempio per il cammino, camminare in avanti prima esasperando la flessione del ginocchio andando quasi a toccarsi la zona addominale, oppure mantenendo le gambe rigide.

Il trattamento degli sportivi
Anni addietro il trattamento d’elezione di qualsiasi trauma distorsivo è stato l’apparecchio gessato. Attualmente nei casi meno gravi il bendaggio funzionale ha sostituito l’immobilizzazione gessata.
I motivi sono da ricercarsi nella più precoce ripresa del movimento che condiziona in senso favorevole il riassorbimento degli edemi ed ematomi, il metabolismo, la cicatrizzazione delle strutture danneggiate e la condizione psicologica in cui verte l’atleta.
I bendaggi funzionali della caviglia si possono schematicamente suddividere in due tipi:

  • bendaggio compressivo;
  • bendaggio stabilizzante.

Il primo tipo di bendaggio, utilizzato soprattutto dopo un trauma, sviluppa la funzione di limitare l’edema e l’ematoma.
Per la confezione si utilizzano delle bende elastiche e del salva pelle oppure la depilazione.

Per il secondo tipo, la cui funzione è quella di stabilizzare dinamicamente l’articolazione in modo preventivo, si utilizzano delle bende anelastiche e si preferisce non utilizzare delle strutture (salvapelle) che riducono l’adesività e di conseguenza l’ancoraggio dei tiranti.
A volte si possono utilizzare contemporaneamente i due tipi di bendaggio per sviluppare sia la funzione anti edemigena che stabilizzante.
In questo caso è da evitare il salvapelle. Questo articolo è indirizzato soprattutto a loro in modo che le nozioni riportate possano essere un utile ausilio per la confezione di un valido taping.
Per evitare delle conseguenze spiacevoli è d’obbligo, soprattutto dopo traumi ingenti, eseguire una diagnosi medica prima di optare per un trattamento funzionale.
Succesivamente saranno indicati gli eventuali casi in cui è consigliato togliere immediatamente il bendaggio e riesaminare la diagnosi con relativo trattamento terapeutico.

Il bendaggio compressivo viene eseguito con bende elastiche avvolte a spirale (fig. 3, 4), cercando sempre di non esagerare con la tensione di trazione. E’ consigliato utilizzare nelle spire a valle (sul piede), una lieve tensione maggiore e ridurla progressivamente verso la gamba.
Un buon bendaggio compressivo dovrebbe includere oltre al piede almeno 2/3 del polpaccio. A volte per accentuare la compressione sulla zona perimalleolare, area di massimo gonfiore, si possono utilizzare delle spugne ad alta densità conformate a U o a J (fig. 5).
Per evitare il trauma della depilazione conseguente alla rimozione del bendaggio, in questo caso non essendoci la necessità di stabilizzare, si può utilizzare uno strato di salvapelle.
Questo bendaggio può essere mantenuto anche per 10-15 giorni; va annotato, però, che con il passare del tempo la benda perde di efficacia sia per una riduzione di elasticità sia per la riduzione di volume della caviglia.
Possibilmente rifare il bendaggio almeno ogni 2-3 giorni, in modo da valutare l’evolversi dell’infiammazione e iniziare il prima possibile un’adeguata terapia (manipolativa, mesoterapica, fisioterapica).

Nella fase di ripresa dell’attività fisica in cui è ancora presente, anche se limitato, un moderato edema e c’è l’esigenza di una contemporanea azione stabilizzatrice, è possibile utilizzare sopra il bendaggio compressivo, direttamente adeso alla cute, dei tiranti anelastici stabilizzanti.
Il bendaggio stabilizzante dinamico (taping) viene effettuato quando l’infiammazione si è completamente risolta ma permane una debolezza della caviglia che la predispone a recidive distorsive. Questi deficit vanno compensati con un adeguato potenziamento muscolare e propriocettivo.
Per confezionare un efficace bendaggio stabilizzante è utile conoscere l’anatomia e la biomeccanica della caviglia. Di solito i legamenti che vengono interessati dal trauma distorsivo sono i legamenti peroneo-astragalici; quello anteriore è più frequentemente chiamato in causa.
Il compito del bendaggio è quello di impedire i movimenti che sforzerebbero il legamento malato, senza però limitare gli altri movimenti utilizzati durante le normali funzioni. Più cerotto viene utilizzato e più la caviglia sarà stabile, ma più bloccati saranno anche tutti i movimenti.

Quindi un buon taping è quello che raggiunge il migliore compromesso tra la massima protezione delle strutture legamentose deboli e una buona libertà di movimento. Questo compromesso non è fisso perché essendo legato alla condizione della struttura anatomica dipende dal tipo lesione e dalla fase della guarigione. Nelle prime fasi della ripresa dell’attività sportiva si cercherà di essere più prudenti utilizzando qualche staffa in più.
Ciò è giustificato sia dalla maggiore debolezza dei legamenti che dalla minore richiesta di movimento. Con l’evolversi della patologia e con l’incremento della fase rieducativa si potrà essere più permissivi utilizzando solo alcuni tiranti e lasciando il movimento quasi completamente libero.
Nelle immagini da figura 6 a figura 11 viene proposta la confezione base, utilizzabile nelle fasi avanzate della rieducazione.
Con l’aggiunta dei tiranti riportati nelle immagini successive si migliora la stabilità a discapito della mobilità. Quindi vanno utilizzati dove sia presente una lesione grave e nelle fasi precoci della rieducazione.
Per eseguire il taping è importante mettere il piede nella posizione opposta a quella di distorsione (eversione). Partire dalla parte mediale (fig. 6) facendo aderire completamente il cerotto alla cute e trazionare lateralmente (fig. 7) il tirante prima di incollarlo lungo il decorso del perone (fig. 8).
Questo primo tirante passando per il fulcro di movimento dell’articolazione tibio-peroneo-astragalica (puntino nero) tende a non fare ruotare l’astragalo lungo un asse antero-posteriore, ma inibisce limitatamente la rotazione lungo l’asse latero-mediale permettendo la flesso estensione di caviglia utile per camminare, correre e saltare.
Un ancoraggio circolare aumenterà la tenuta della staffa verticale. Per evitare delle fastidiose pieghe, che si possono venire a formare vista la conformazione di tronco di cono del polpaccio, è consigliato iniziare il circolare leggermente obliquo in basso (spina di pesce) (fig. 9).

I circolari non vanno mai messi in tensione perché possono creare dei pericolosi ostacoli al deflusso della linfa e del sangue. Un ulteriore tirante verticale (fig. 10, 11), lungo più o meno il decorso del precedente, migliorerà la stabilità riducendo di poco la mobilità. I due tiranti verticali possono essere irrobustiti con un ulteriore staffa perfettamente sovrapposta alle precedenti e con altri ancoraggi circolari, parzialmente sovrapposti, fino a ricoprire tutta la gamba.
I tiranti eseguiti fuori dal fulcro, come quelli delle immagini 12, 13, 14, 15, 16, tenderanno ad aumentare la stabilità, però contemporaneamente ridurranno il movimento di flesso-estensione della caviglia. Le immagini mostrano la confezione di un bendaggio definito a “8”. Le staffe passando davanti al fulcro di movimento della caviglia tendono a limitare il movimento di flessione plantare del piede.

Quando rimuovere il bendaggio:

  • dolore forte in continuo aumento, gonfiore importante, soprattutto alle dita, che non diminuisce pur mantenendo l’arto in scarico (arto in posizione sollevata rispetto al tronco);
  • colorazione biancastra o bluastra delle dita che non diminuisce in scarico intorpidimento con sensazione di formiche e spilli;
  • forte prurito e sensazione di bruciore.

Questa utile tecnica di bendaggio della caviglia può facilmente essere eseguita anche senza l’aiuto di un medico, occorre soltanto eseguire le istruzioni nel dettaglio (come da figure qui sotto).

 

Il Direttore Sanitario della Croce Bianca Lumezzane
Dr. Mosca Carlo
Febbraio 2009

Bibliografia:
Atlante di traumatologia dello sport per il medico pratico – Giorgio Santilli ed. Nattermann

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